La Fondazione

“La semplicità è compagna della verità come la modestia lo è del sapere.”

Francesco De Sanctis

Francesco Saverio De Sanctis nacque nel 1817 a Morra Irpina (Avellino), da una famiglia di piccoli proprietari terrieri. Il padre era dottore in diritto e due zii paterni, uno sacerdote e l’altro medico, vennero esiliati per aver preso parte ai moti carbonari del 1820-21.

I critici pedanti si contentano d’una semplice esposizione e si ostinano sulle frasi, sui concetti, sulle allegorie, su questo e su quel particolare come uccelli di rapina su un cadavere… Essi si accostano ad una poesia con idee preconcette: chi di essi pensa ad Aristotele e chi ad Hegel. Prima di contemplare il mondo poetico lo hanno giudicato: gl’impongono le loro leggi in luogo di studiar quelle che il poeta gli ha date. […] Critica perfetta è quella in cui i diversi momenti (per i quali è passata l’anima del poeta) si conciliano in una sintesi di armonia. Il critico deve presentare il mondo poetico rifatto ed illuminato da lui con piena coscienza, di modo che la scienza vi presti, sì, la sua forma dottrinale, ma sia però come l’occhio che vede gli oggetti senza però vedere se stesso. La scienza, come scienza, è, forse, filosofia, ma non è critica.

Francesco De Sanctis

La sua formazione scolastica

Nel 1826 lasciò la provincia per recarsi a Napoli dove frequentò il ginnasio privato di uno zio paterno, Carlo Maria De Sanctis. Nel 1831 passò ai corsi liceali dapprima presso la scuola dell’abate Lorenzo Fazzini dove compì le prime letture filosofiche e nel 1833 presso quella dell’abate Garzia. Completati gli studi liceali, intraprese gli studi giuridici presto però trascurati per seguire, già dal 1836, la scuola del purista Basilio Puoti sul Trecento e sul Cinquecento, lezioni che il marchese teneva gratuitamente presso il suo palazzo dove il De Sanctis avrà modo di conoscere il Leopardi e dove avviene la sua vera formazione.

L’insegnamento

Trascorso un breve soggiorno a Morra, dove iniziò ad insegnare nella scuola dello zio che si era ammalato, il De Sanctis ritornò a Napoli dove, per interessamento dello stesso Puoti, venne nominato professore alla scuola militare preparatoria di S.Giovanni a Carbonara (1839-1841) e in seguito al Collegio militare della Nunziatella (1841-1848), dove ebbe come allievo tra gli altri Nicola Marselli.

Contemporaneamente egli teneva in una sala del Vico Bisi, per gli allievi del Puoti, corsi privati di grammatica e letteratura, avendo tra i suoi allievi alcuni di quelli che sarebbero poi diventati tra i principali nomi della cultura italiana: i meridionalisti Giustino Fortunato e Pasquale Villari, il filosofo Angelo Camillo De Meis, il giurista Diomede Marvasi, il pittore Giacomo Di Chirico, il letterato Francesco Torraca e il poeta Luigi La Vista, suo allievo prediletto, che avrebbe trovato la morte durante l’insurrezione del 1848. Le lezioni di quella che fu chiamata la “prima scuola napoletana” (1838/39-1848) furono raccolte ed edite solamente nel 1926 da Benedetto Croce con il titolo “Teoria e storia della letteratura”.

Le distanze dal purismo

Alla Nunziatella il De Sanctis iniziò a trattare problematiche di carattere letterario, estetico, stilistico, linguistico, storico e di filosofia della storia prendendo le distanze dal purismo di Puoti dopo aver scoperto alcuni testi dell’Illuminismo francese (d’Alembert, Diderot, Hélvetius, Montesquieu, Rousseau e Voltaire) e di quello italiano (Beccaria, Cesarotti, Filangieri, Genovesi, Pagano). De Sanctis passò così da una prima fase intrisa di sensibilità romantica e leopardiana, di forte polemica anti-illuministica e di convinta adesione a un programma cattolico-liberale, giobertiano, di restaurazione civile e morale, ad una seconda fase, nel costituire la quale ebbero grande parte la lettura di Hegel e le esperienze drammatiche del 1848.

La partecipazione ai moti del 1848

Nel maggio del 1848 come membro dell’associazione “Unità d’Italia” diretta dal Settembrini, partecipò con alcuni dei suoi allievi ai moti insurrezionali e in seguito a questa sua iniziativa, nel novembre del 1848 viene sospeso dall’insegnamento.

La prigionia

Nel novembre del 1848 egli preferì allontanarsi da Napoli, recandosi a Cosenza dove aveva accettato un incarico di precettore propostogli dal barone Francesco Guzolini. Qui scrisse i suoi primi “Saggi critici”, cioè le prefazioni all’Epistolario leopardiano e alle “Opere drammatiche” di Schiller, ma nel 1850 viene arrestato e recluso a Napoli nelle prigioni di Castel dell’Ovo dove rimase fino al 1853 quando, espulso dal Regno dalle autorità borboniche e fatto imbarcare per l’America, riuscì a fermarsi a Malta e quindi a rifugiarsi a Torino. Durante il periodo di prigionia il De Sanctis si diede allo studio approfondito di Hegel compiendo lo sforzo di apprendere il tedesco e compiere così la traduzione del “Manuale di una storia generale della poesia e della Logica” di Hegel oltre a cercare di approfondire i motivi mazziniani della propria ideologia, come testimonia il carme in endecasillabi con auto-commento intitolato “La prigione”. Dal carcere uscì indubbiamente un De Sanctis diverso al quale la realtà aveva distrutto le illusioni e al pessimismo e misticismo giovanile era subentrata una moralità più eroica e alfieriana e che, grazie alla lettura di Hegel, aveva maturato una diversa concezione del divenire della storia e della struttura dialettica della realtà.

L’attività letteraria a Torino

A Torino, la cultura moderata gli negò una cattedra ma De Sanctis riuscì comunque a svolgere un’intensa attività letteraria. Trovò un incarico di insegnante presso una scuola privata femminile dove insegnò lingua italiana, diede lezioni private, collaborò a vari giornali dell’epoca come “Il Cimento” divenuta in seguito “Rivista Contemporanea”, “Lo Spettatore”, “Il Piemonte”, “Il Diritto” e iniziò a tenere conferenze e lezioni tra le quali quelle famose su Dante che, per la loro originale impostazione e per l’analisi storica e poetica, gli fecero ottenere, nel 1856, una cattedra di letteratura italiana presso il Politecnico federale di Zurigo.

Gli anni di Zurigo

A Zurigo, dove insegnò dal 1856 al 1860, il De Sanctis tenne lezioni su Dante, sui poemi cavallereschi italiani e su Petrarca. Zurigo, che in quegli anni era sede di grande confronto intellettuale, diede a De Sanctis l’occasione di elaborare meglio il proprio metodo critico, di approfondire le proprie meditazioni filosofiche e di raccogliere il materiale documentario tra il quale assai importante risultano essere le conferenze petrarchesche del 1858-1859 che saranno la base del saggio pubblicato nel 1869 a Napoli dall’editore Morano.

Il ritorno in patria

Intanto, con l’unione negli anni ’60 del Regno delle Due Sicilie al Regno di Sardegna per la costituzione del Regno d’Italia, il De Sanctis poté tornare in patria dove portò avanti, contemporaneamente alla sempre fervida attività letteraria, anche l’attività politica. Nel 1860 conobbe Giuseppe Mazzini e, dopo aver interrotto il ciclo di lezioni sulla poesia cavalleresca, sottoscrisse il manifesto del Partito d’Azione per caldeggiare l’unificazione e per combattere le idee estremiste dei repubblicani. Da quel momento egli si immerse di slancio nella nuova realtà politica italiana ritrovando nell’azione la possibilità di rendere concreto l’ideale appreso da Machiavelli, Hegel e Manzoni e cioè quello dell’uomo totalmente impegnato nella realtà.

Le cariche politiche

In seguito alla conquista di Garibaldi il De Sanctis venne nominato governatore della provincia di Avellino e per un brevissimo periodo fu ministro nel governo Pallavicino collaborando per il rinnovamento del corpo accademico napoletano. Nel 1861 venne eletto deputato al parlamento nazionale, aderendo alla prospettiva di una collaborazione liberal-democratica, e accettò il ministero della Pubblica Istruzione nei gabinetti Cavour e Ricasoli, per cercare di attuare la difficile opera di fusione tra le amministrazioni scolastiche degli antichi stati. Nel 1862 passò però all’opposizione e in collaborazione con il Settembrini, promosse una “Associazione unitaria costituzionale” di sinistra moderata, che ebbe come voce il quotidiano “Italia” diretto dallo stesso De Sanctis dal 1863 al 1865.

Il grande impegno di studi

Il fallimento delle elezioni del 1865 coincise con il ritorno del De Sanctis a un grande impegno di studi concentrato sulla struttura di una storiografia letteraria che fosse di respiro nazionale, questione che affronterà nei saggi sulle “Storie” letterarie del Cantù in “Rendiconti della R. Accademia di Scienze morali e politiche di Napoli” del 1865, e sul Settembrini, “Settembrini e i suoi critici”, in Nuova Antologia, marzo 1869. Nel frattempo De Sanctis stava già lavorando a una “Storia della letteratura italiana” che, nata come testo scolastico, si sviluppò assai presto in un’opera di ampia e complessa portata. Dal 1872 De Sanctis insegnò letteratura comparata presso l’università di Napoli e quell’anno accademico iniziò con il discorso su “La scienza e la vita”. I corsi da lui tenuti in quegli anni si intitolano a Manzoni (1872), la scuola cattolico-liberale (1872-’74), la scuola democratica (1873-’74), Leopardi (1875-1876). Questi scritti, che svolgono tutti quei temi di Letteratura contemporanea che nella storia della letteratura non ebbero spazio per esigenze editoriali, furono raccolti da Francesco Torraca e solo in parte rivisti dal De Sanctis. L’ultimo periodo della vita
Nel 1876, prevalendo la Sinistra, De Sanctis si dimise da professore e accettò da Benedetto Cairoli un nuovo incarico ministeriale (1878-1880) mentre il suo interesse critico si rivolgeva al naturalismo francese come testimonia lo Studio sopra Emilio Zola che apparve a puntate sul “Roma” nel 1878 e lo scritto “Zola e l’assommoir” pubblicato nel 1879 a Milano. Intervenne in Parlamento dopo l’attentato al re Umberto I da parte dell’anarchico Giovanni Passannante, manifestando la sua contrarietà di sincero democratico ad ogni tipo di repressione: « Io, signori, non credo alla reazione; ma badiamo che le reazioni non si presentano con la loro faccia; e quando la prima volta la reazione ci viene a far visita, non dice: io sono la reazione. Consultatemi un poco le storie; tutte le reazioni sono venute con questo linguaggio: che è necessaria la vera libertà, che bisogna ricostituir l’ordine morale, che bisogna difendere la monarchia dalle minoranze. Sono questi i luoghi comuni, ormai la storia la sappiamo tutti, sono questi i luoghi comuni, coi quali si affaccia la reazione.[1] » Ritornato a Napoli si dedicò alla rielaborazione del materiale leopardiano, che fu pubblicato postumo nel 1885 con il titolo Studio su G. Leopardi, e alla dettatura di ricordi autobiografici che arrivano fino al 1844, pubblicati da Villari nel 1889 con il titolo La giovinezza (De Sanctis)|La giovinezza: frammento autobiografico. Colpito da una grave malattia agli occhi, De Sanctis morì a Napoli nel 1883. In suo onore la città natale, Morra Irpina, è stata ribattezzata Morra De Sanctis. De Sanctis fu membro della Massoneria.

Le opere

De Sanctis enunciò i suoi principi critici in diversi scritti di carattere non esclusivamente teorico e il suo pensiero non è esposto in opere autonome e organiche di poetica e di estetica. Il problema dell’arte non divenne mai per De Sanctis oggetto di un discorso rigorosamente filosofico, tuttavia le sue sparse meditazioni su di esso contengono i principi fondamentale dell’estetica moderna e rivelano quanto fossero solide le fondamenta del suo pensiero critico.

La Storia della letteratura italiana

La Storia della letteratura italiana deve considerarsi il capolavoro critico del De Sanctis. In essa l’autore ricostruisce in modo mirabile lo sfondo storico critico-civile dal quale nacquero i capolavori della letteratura italiana. In quest’opera compare la frase “il fine giustifica i mezzi” che De Sanctis usa come esempio errato di come riassumere il pensiero di Niccolò Machiavelli, e che è stata successivamente attribuita erroneamente proprio al pensatore fiorentino.

Le altre opere

Tra gli studi del De Sanctis spicca il Saggio critico sul Petrarca del 1869 mentre tra i lavori inclusi nei Saggi critici del 1866 e nei Nuovi Saggi critici del 1869 meritano di essere menzionati quelli su episodi della Divina Commedia, su L’uomo del Guicciardini, su Schopenhauer e Leopardi oltre Il darwinismo nell’arte e quelli su Emilio Zola. Da ricordare ancora è il discorso La scienza e la vita del 1872 nel quale egli, sostenendo la necessità di non separare la scienza dalla vita, prese posizione nei riguardi dell’allora dilagante positivismo. Scrittore vivace e singolare in una “prosa parlata che ha la spontaneità del discorso vivo”, il De Sanctis si rivela un piacevole narratore nel frammento autobiografico La giovinezza del 1889 e nelle quindici lettere che costituiscono il resoconto di Un viaggio elettorale scritto nel 1876.

Il pensiero

In un periodo in cui l’entusiasmo per lo storicismo idealistico era scomparso e la critica, sia europea che italiana si era spento e si orientava verso la ricerca filologico-erudita, si trovano nel pensiero di De Sanctis i motivi più significativi e vitali della cultura romantica. De Sanctis stabilì nella sua Storia della letteratura italiana il legame tra il contenuto e la forma con lo scopo di ricostruire quel mondo culturale e morale dal quale sarebbero nate in seguito le grandi opere. Egli considera l’arte come il “vivente”, cioè la “forma”, ritenendo che tra forma e contenuto non esista dissociazione perché esse sono l’una nell’altra. Nelle pagine di De Sanctis vi è una felice vena di scrittore. Egli infatti scrive con una prosa antiletteraria, fervida e mirabile per l’immediatezza del pensiero. Il pensiero del De Sanctis venne contrastato dal positivismo della scuola storica. Sarà solamente con Croce che avrà inizio la rivalutazione del pensiero desanctisiano che troverà, attraverso Gramsci, importanti sviluppi nella critica di ispirazione marxista.

Il metodo

Il metodo della critica desanctisiana nasce, oltre che da una geniale elaborazione intellettuale, da una forte esigenza di intraprendere una battaglia culturale. La critica di De Sanctis fu quindi una critica militante, il tentativo di superare per sempre il distacco tra l’artista e l’uomo, tra la cultura e la vita nazionale, tra la scienza e la vita. Lo scrittore non è mai per De Sanctis un uomo isolato e chiuso in sé stesso, ma inquadrato nel contesto che lo circonda, cioè la sua civiltà e la sua cultura.

Il ritorno in patria

Discepolo del Puoti, De Sanctis inizia fin dalla sua prima scuola (1839-1848) la critica del formalismo puristico e retorico e si pone sia contro la poetica del Cinquecento sia contro quella del Settecento, accademica e neoclassica. In quegli anni a Napoli iniziò a penetrare la filosofia di Hegel e il De Sanctis agli inizi studiò e aderì all’estetica del grande filosofo tedesco anche se era in lui già latente la ribellione che divenne esplicita in occasione della pubblicazione del suo “Saggio sul Petrarca”. Hegel sosteneva infatti che l’arte fosse “l’apparenza sensibile dell’Idea” e quindi che l’opera d’arte fosse simbolo del concetto filosofico e quasi una forma provvisoria di esso. Una simile dottrina conferiva carattere teoretico all’arte, ma ne comprometteva l’autonomia, tant’è vero che Hegel prevedeva alla fine dell’epoca romantica la morte dell’arte. Il De Sanctis contrappose all’estetica hegeliana, l’estetica della forma intesa come un’attività originaria ed autonoma dello spirito, per mezzo della quale la materia sentimentale si realizza in figurazione artistica. In questo modo essa non è una elaborazione di un contenuto astratto, ma unità di contenuto e forma. Su questi fondamenti si basa la critica del De Sanctis che fu una vera rivoluzione nella tradizione letteraria italiana.

Fonte: Wikipedia