Giovanni Boccaccio

La copia autografa del “Decameron”

Berlin, Staatsbibliothek, Preussischer Kulturbesitz, Hamilton 90. Membr., sec. XIV, 371 × 266 mm, I+112+I cc. Legatura di restauro del 1962

Introduzione

È il famoso autografo del capolavoro di Giovanni Boccaccio. L’attribuzione del manoscritto alla mano dello scrittore (già ipotizzata nella prima metà del Novecento da M. Barbi e A. Chiari) fu dimostrata definitivamente da V. Branca e P.G. Ricci solo nel 1962. Il testo, disposto su due colonne e purtroppo incompleto (sono andati perduti tre dei diciassette fascicoli che componevano il manoscritto. Va ricordato che l’autografia del manoscritto è stata per lungo tempo messa in dubbio dalla presenza di errori (in nessun modo attribuibili all’autore). Nei margini del manoscritto compaiono anche interventi posteriori: si tratta di brevi annotazioni, tra queste, anche una di mano di Pietro Bembo, massimo grammatico del Cinquecento.

Trascrizione del testo esposto

Dom Felice insegna a frate Puccio come egli diverrà beato faccendo 
una sua penitenza la quale frate Puccio fa, e dom Felice in questo mezzo
con la moglie del frate si dà buon tempo.

Poi che Filomena, finita la sua novella, si tacque, avendo
Dioneo con dolci parole molto lo ’ngegno della donna
commendato e ancora la preghiera da Filomena ultimamente
fatta, la reina ridendo guardo verso Panfilo e
disse: — Ora appresso, Panfilo, continua con alcuna
piacevol cosetta il nostro diletto. — Panfilo prestamente
rispose che volentieri e comincio:
— Madonna, assai persone sono che, mentre che essi si
sforzano d’andarne in Paradiso, senza avvedersene vi
mandano altrui: il che a una nostra vicina, non ha ancor
lungo tempo, si come voi potrete udire, intervenne. 

 

Descrizione

È il famoso autografo del capolavoro di Giovanni Boccaccio. L'attribuzione del manoscritto alla mano dello scrittore (già ipotizzata nella prima metà del Novecento da M. Barbi e A. Chiari) fu dimostrata definitivamente da V. Branca e P.G. Ricci solo nel 1962.

Il testo, disposto su due colonne e purtroppo incompleto (sono andati perduti tre dei diciassette fascicoli che componevano il manoscritto), è stato vergato da Boccaccio in una scrittura semigotica libraria, di modulo piccolo, negli ultimi anni della sua vita (attorno al 1370). Il manoscritto trasmette l'ultima redazione dell'opera, accompagnata da varie annotazioni autografe (segni di attenzione, aggiunte, correzioni e proposte di soluzioni testuali alternative). L'inizio delle giornate, le introduzioni alle singole novelle e le ballate sono scandite da maiuscole di varia misura, di colore rosso e turchino, eseguite da miniatori professionisti su indicazione dello stesso Boccaccio (cui sono da assegnare le letterine di guida che affiancano queste iniziali); in tal modo il lettore poteva cogliere, con chiarezza, i diversi livelli del racconto che caratterizzano il Decameron.

Il codice è impreziosito da alcuni piccoli disegni di mano di Boccaccio, raffiguranti protagonisti di novelle o novellatori: si tratta di eleganti richiami testuali, guida fondamentale per il rilegatore che doveva confezionare il codice partendo da gruppi di fogli sciolti (in ogni disegno è contenuta la parola di apertura del fascicolo seguente). Va ricordato che l'autografia del manoscritto è stata per lungo tempo messa in dubbio dalla presenza di errori (in nessun modo attribuibili all'autore) che, grazie a una lettura ai raggi ultravioletti, si sono poi rivelati tentativi posteriori di ripristinare porzioni di testo divenute nel tempo scarsamente visibili a causa del distaccamento dell'inchiostro.

Nei margini del manoscritto compaiono anche interventi di lettori successivi: si tratta di brevi annotazioni databili tra il XIV e il XVI secolo; tra queste, anche una di mano di Pietro Bembo, massimo grammatico del Cinquecento.

 

La copia autografa del “decameron”

BoccaccioC. 36v: L'inizio della novella di Frate Puccio (III 4)

esplora l'immagine sfoglia le pagine

francesco de sanctis

È la nuova «Commedia», non la «divina», ma la «terrestre Commedia». Dante si avvolge nel suo lucco e sparisce dalla vista. (p. 326).