Giacomo Leopardi

L’autografo del ‘Canto notturno’ di Leopardi

Napoli, Biblioteca Nazionale, C.L. XIII.25. Cart; 1829-1830, mm 178×120, 6 cc.

Un fascicoletto di carta spessa e rigata, ottenuto inserendo l’uno nell’altro tre fogli ripiegati in due, reca la stesura del Canto notturno di un pastore vagante dell’Asia: l’«errante», introdotto nell’edizione napoletana del 1835 presso l’editore Starita, conferirà al titolo più ampia valenza semantica.

Dalla carta d’incipit dell’autografo si ha notizia della data di elaborazione – «1829. 22 Ottob.-1830.9 Aprile» – e di come i versi nascano dalla suggestione suscitata da una nota sui Kirghisi – trascritta di seguito al titolo – tratta dal Voyage d’Orenbourg à Boukhara, fait en 1820 del barone di Meyendorff, recensito nel settembre del 1826 sul “Journal des Savans”.

I centoquarataquattro versi occupano, vergati nel ductus chiaro e nitido della grafia leopardiana, le prime otto facciate, con le varianti trascritte contestualmente alla stesura dei versi, nel margine destro, tra parentesi tonde, o nell’interlinea, come avviene al v.35 (c.2r) dove «Abisso orrido, immenso»è di mano di Antonio Ranieri. Nei capoversi, appena distinti, i segni di come l’A. sia intervenuto nell’originaria successione delle strofe, numerandole nell’ordine:1, 2, 5, 3, 4, 6.

Giacomo Leopardi giungeva a Napoli con Antonio Ranieri nel 1833. Un soggiorno connotato da un fervore di iniziative e di programmi e, soprattutto, da un ritorno alla scrittura, vissuto nel segno illusorio della provvisorietà, ma destinato a prolungarsi fino alla morte del poeta.

I suoi manoscritti rimasero in possesso dell’amico napoletano che, nella continuità di un sodalizio che aveva avuto la sua giustificazione nelle affinità del sentire e nei comuni interessi culturali, li custodì gelosamente secondo la volontà del poeta.

Con lascito testamentario Ranierilegò tutte le sua carte e l’intero corpus leopardiano alla Biblioteca Nazionale di Napoli, che le acquisì solo al termine di una lunga e nota controversia giudiziaria. Il prezioso archivio napoletano raccoglie nella quasi totalità gli autografi di Leopardi, tra gli altri la stesura autografa di gran parte dei Canti, delle Operette morali, dei centoundici Pensieri e, soprattutto, lo sterminato corpus dello Zibaldone, oggi raccolto in sei volumi, nonché tutto quel vario materiale comunque legato alla scrittura del poeta - abbozzi, schede di lavoro, promemoria – di non secondario interesse sul piano ectodico. Ad incrementare la ricchezza del fondo concorre la cospicua consistenza delle testimonianze epistolari, riconducibili soprattutto ai numerosissimi interlocutori del recanatese.

 

L’autografo del ‘Canto notturno

Leopardi

[C. 1r: «Canto notturno di un pastore vagante dell’Asia»]

 

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francesco de sanctis

Mancata era la fede nella rivelazione. Mancava ora la fede nella stessa filosofia. Ricompariva il mistero. Il filosofo sapeva quanto il pastore. Di questo mistero fu l'eco Giacomo Leopardi nella solitudine del suo pensiero e del suo dolore. Il suo scetticismo annunzia la dissoluzione di questo mondo teologico-metafisico, e inaugura il regno dell'arido vero, del reale (XX 26).