Giacomo Leopardi

Il secondo autografo dell’‘Infinito’ di Leopardi

Visso, Museo civico-diocesano di Sant’Agostino, Sala Leopardiana. Cart., sec. XIX, mm 100×135, 12 cc., con cartulazione originale (pp. 1-22) e ultime 2 pp. n.n. Legatura moderna con brachetta e filo di cotone.

Il fascicolo, contenente sei idilli, fa parte della collezione di autografi leopardiani di proprietà del Comune di Visso che li acquistò nel 1868 dal prof. Prospero Viani, curatore dell’Epistolario di Leopardi, il quale li aveva avuti in dono da Pietro Brighenti.

La collezione era costituita in origine da carte sciolte, poi riunite per genere in cinque fascicoli comprendenti il primo sei Idilli, e gli altri, nell’ordine, 14 lettere indirizzate all’editore Stella di Milano datate dal 13 marzo 1825 al 29 marzo 1831, la Prefazione all’edizione del Petrarca commentata da Leopardi, cinque Sonetti in persona di ser Pecora fiorentino beccaio e L’Epistola al conte Pepoli.

Gli idilli contenuti nel primo fascicolo, in bella copia e con rare correzioni, sono (con i titoli poi a volte leggermente mutati nelle stampe successive), L’infinito (p. 3), La sera del giorno festivo (pp. 4-6), La Ricordanza (p. 7), Il Sogno (pp. 8-13), Lo spavento notturno (pp. 14-15), La vita solitaria (pp. 16-22), seguita sulla stessa p. 22 dai visti dei Censori bolognesi M. Medici e D. Manadini. A p. 2 figurano attestazioni di autografia di Pietro Giordani e Carlo Leopardi, apposte nel 1844 e 1846, mentre un foglio intercalato contiene l’autografo della prefazione all’edizione bolognese dei Versi del 1826(Gli editori a chi legge, p. n.n.) accompagnato dalle medesime attestazioni di autografia. Gli Idilli comparvero nella rivista milanese «Nuovo ricoglitore» tra dicembre 1825 e gennaio 1826, per primi L’infinito e La sera del giorno festivo che, posti in testa alle edizioni dei soli idilli del 1826 curata dal Brighenti (Versi, Bologna, Stamperia delle Muse), entrarono a far parte, con varianti sostanziali (in particolare per L’infinito ai vv. 4-5: «interminato spazio» > «interminati spazi»), lievi ritocchi e ripensamenti che ripristinarono lezioni originarie (v. 14: «immensità» > «infinità» > «immensità»), delle edizioni successive dei Canti (Firenze, Piatti, 1831; Napoli, Starita, 1835).

Dell’Infinito (composto probabilmente nel 1819) è pervenuto anche l’autografo “di lavoro”, quindi precedente, conservato dalla Biblioteca Nazionale di Napoli (XIII 22, p. 2), di cui questo di Visso è la sistemazione finale in previsione della stampa (probabilmente quella sul «Nuovo ricoglitore» più che quella bolognese dei Versi). La Biblioteca Nazionale di Firenze conserva inoltre (Banco Rari 342.11, 1) alcune giunte e correzioni autografe agli Idilli.

 

L’autografo del ‘L'infinito

Leopardi

[P. 3: "L'infinito"]

 

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francesco de sanctis

Mancata era la fede nella rivelazione. Mancava ora la fede nella stessa filosofia. Ricompariva il mistero. Il filosofo sapeva quanto il pastore. Di questo mistero fu l'eco Giacomo Leopardi nella solitudine del suo pensiero e del suo dolore. Il suo scetticismo annunzia la dissoluzione di questo mondo teologico-metafisico, e inaugura il regno dell'arido vero, del reale (XX 26).